Robot a chi?

Robot a chi?

Il primo robot sul grande schermo si chiama Maria, come la profetica donna di cui è il clone meccanico, e nasce dalla mente malata di uno scienziato depresso e rancoroso. È il 2026, la città di Metropolis è governata da un gruppo di ricchi industriali che sfrutta i lavoratori, costretti a vivere e lavorare nel sottosuolo. Maria è programmata per scatenare la rivolta, e sarà la distruzione.

Lo sguardo che l’uomo posa sul primo robot è già problematico e pieno di timore: timore di non saper riconoscere l’originale dalla copia, timore di finire asservito ad esseri superiori per capacità fisiche e intellettive. Timore di perdere il controllo.

Blade Runner, Brazil, RoboCop, Terminator, Matrix… ne raccoglieranno l'eredità.

Strana ironia: nelle scene di lavoro nel sottosuolo gli operai si muovono meccanicamente, con azioni ripetute e ritmate, così disumani da avvicinarsi al concetto di robot di Karel Čapek, che nel 1920 aveva creato il termine dal ceco robota, cioè “lavoro forzato”. Allora, chi è davvero il robot?